Professor Berrino – alimentazione come prevenzione.

 

Esistono prove scientifiche della responsabilità del cibo sulla diffusione del cancro: un dato molto significativo è quello relativo al tumore dello stomaco. I registri-tumori mettono infatti in evidenza che quelle di Forlì-Ravenna e di Firenze sono due aree a alto rischio per questa malattia: in queste zone il tumore gastrico ha una incidenza
doppia rispetto alla media italiana ed è di quasi 4 volte superiore rispetto all’incidenza del centro-sud. Uno dei fattori che possono spiegare l’incidenza di queste zone e di altre aree del centro e del nord-Italia è il forte consumo di salumi e di insaccati. Ma questo è soltanto un esempio. In linea generale nelle regioni settentrionali della penisola, le più industrializzate, il cancro ha complessivamente una frequenza doppia rispetto al meridione e alle isole anche a causa delle diverse abitudini alimentari.

Secondo Franco Berrino, responsabile del Servizio di Epidemiologia dell’Istituto dei Tumori di Milano, «abbiamo perso di vista, e questo vale anche per molti medici e uomini di scienza, l’insegnamento che ci viene dai passati millenni, un esperimento grossolano ma di enorme significato. Da quando gli dei hanno insegnato a coltivare i campi, i popoli della terra hanno sempre saputo che cereali e legumi, occasionalmente insieme ad altri semi oppure a cibo di origine animale, più spesso insieme a verdure di vario tipo, offrono una perfetta combinazione alimentare. Nelle Americhe ancora oggi i poveri mangiano tortillas e fagioli, in nord-Africa semola di grano (il cuscus) e ceci, nell’Africa nera miglio e arachidi, in Oriente riso e soia, nel Mediterraneo agricolo riso e lenticchie oppure pasta e fagioli. Nei paesi occidentali ricchi, invece, nel corso dell’ultimo secolo ci si è progressivamente discostati dalla dieta tradizionale: cibi che un tempo erano mangiati soltanto occasionalmente, come molti alimenti di origine animale, a cominciare dalla carne ma anche dal latte che era difficilmente conservabile, oppure che non erano neppure conosciuti, come lo zucchero e le farine molto raffinate, sono diventate un nutrimento quotidiano. Attualmente si consumano anche cibi che in natura non esistono affatto., come certi grassi presenti nelle margarine o i nuovi “grassi non grassi”. Questo modo di mangiare, sempre più ricco di calorie, di zuccheri semplici e di proteine ma in realtà povero di alimenti naturalmente completi, ha contribuito grandemente allo sviluppo delle malattie “da civiltà”: l’obesità, il diabete, l’ipertensione, l’aterosclerosi, l’infarto cardiaco, l’osteoporosi, la stitichezza, l’ipertrofia prostatica e molti tipi di tumori tra cui quello dell’intestino, della mammella e della prostata».

Ma occorrono altre considerazioni per capire la natura del cambiamento alimentare proposto dagli esperti. Per essere efficace, prima di tutto, la modificazione delle abitudini alimentari dev’essere qualitativamente complessa e questo fatto rappresenta un primo ostacolo alla sua attuazione. Per diminuire il rischio-cancro non basta togliere dal piatto il cibo “cattivo” (per esempio i grassi o il sale) e sostituirlo con quello “buono” (per esempio le farine integrali). I meccanismi biologici mediante i quali i cibi influenzano la crescita cellulare e favoriscono il
tumore sono molteplici e complicati: è ragionevole pensare che anche una dieta protettiva richiede un cocktail equilibrato di molti alimenti diversi. Dunque, chi si aspetta la salvezza da uno slogan o da qualche ricetta resterà deluso.

In molti casi inoltre è in gioco tutto lo stile di vita e non solo il modo di mangiare. «C’è una forte evidenza», ricorda Berrino, «che le verdure esercitino una azione protettiva nei confronti del cancro del polmone: chi le mangia regolarmente riduce della metà il rischio di ammalarsi rispetto a chi non le consuma. Ma se continua a fumare il pericolo del cancro al polmone rimane comunque alto». Un discorso analogo vale per il
tumore dello stomaco: non è soltanto il sale che aumenta il rischio, è anche l’helicobacter pylori, un batterio che ha grosse responsabilità nella nascita e nello sviluppo di questa malattia.

Un’altra difficoltà viene dal tempo richiesto perché i cambiamenti dietetici diano dei risultati. Solo in alcuni casi, come nella mammella e nel colon, i benefici di una buona dieta possono manifestarsi dopo 10-20 anni dal suo inizio ma di solito occorre che il costume alimentare “protettivo” parta precocemente, fin dall’infanzia, e che sia portato avanti per molti anni. Secondo il parere degli esperti i benefici di un cambiamento della dieta nella popolazione generale compariranno chiaramente dopo 15-60 anni dal suo inizio: a molti, vittime di un’epoca come la nostra che è divorata dalla fretta e che sembra senza domani, può apparire un traguardo troppo lontano per essere ambito.

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